venerdì 14 novembre 2014

Time of Wonder #6 - Caraibi e la bara di David Jones


9 Novembre 2014
La Romana, Repubblica Dominicana


Verso l’alba del 6 Novembre Andrea entra sotto un enorme groppo.
In realtà non è un solo groppo. Si tratta di una zona cuscinetto tra l’anticiclone delle Azzorre e quello Americano. L’effetto non cambia: acqua a catinelle, raffiche di vento con salti fulminei di 180 gradi e, sempre e comunque, di bolina stretta. Non teniamo più la rotta per la nostra destinazione. Ad un certo punto appare un temporale scuro scuro che sembra l’occhio di Mordor, con tutta l’intenzione di spedire Time Of Wonder e il suo equipaggio dritti dritti in visita alla bara di David Jones.


Vittorio Malingri - Ocean Experience


Andrea mi sveglia ed esco. Avrò dormito sì e no due ore. Di solito mi riprendo bene in pochi minuti ma quando l’accumulo dei giorni precedenti è grosso fatico un po’ a svegliarmi del tutto. Abbiamo tenuto un ritmo serrato simile a una regata, tra i problemi tecnici di una barca nuova e una meteo che sembra prenderci in giro di continuo. Nessuno di noi è in gran forma. È anche frustrante vedere che nonostante le previsioni non siano male, la realtà invece è pessima. Mi ricorda un certo Paese... anche quello diretto a caduta libera nella tomba di David Jones.
Ma non gliela daremo vinta a bordo di Time of Wonder, (né in quel certo Paese), e iniziamo a lottare. Boliniamo con onda cortissima e mare che sembra bollire. Ci sono quattro onde diverse. A tratti il vento cala e mettiamo un po’ di motore. Poi, quando la barca sbanda troppo, lo spegniamo. Guadagniamo poca strada con enorme dispendio di fatica e la pioggia, incessante, ci logora. Il cambio di direzione del vento è continuo, durata massima di una condizione: il tempo di regolare le vele... poi cambia di nuovo. Sale e scende di intensità ma teniamo a riva tutto, a parte la randa di maestra che ha già due mani. Nelle raffiche più forti sventiamo, quando smotoriamo cazziamo i tre bomi al centro e lo yankee a ferro. Il tempo in cui la barca viaggia con una certa inerzia e velocità è un decimo del tutto. Vediamo del chiaro a sinistra e ci dirigiamo lì, giusto per scoprire che siamo tornati da dove siamo venuti. Il lungo groppo che sembra arrivare all’orizzonte si pone tra noi e la nostra meta. Ci sono cumuli altissimi. Non è che ci vada proprio di attraversare il “verdone” e finisce che rimaniamo a stringere, 40 gradi fuori rotta a sinistra. Ogni tanto veniamo inglobati di nuovo sotto una frangia di questo sistema di temporali. Accendi il motore, cazza tutte le vele al centro, quando il vento va via, spegni il motore, lasca e regola, tutto per totalizzare 3.5 nodi di velocità quando va bene e se il vento rientra a livelli proporzionati alla nostra velatura.

Siamo bagnati fuori e dentro, il morale non esattamente alle stelle. Mancano solo 295 miglia alla meta e sapere che i due giorni previsti diventeranno così tre non aiuta. In tutto ciò smette di funzionare anche l’alternatore e i soliti maneggi di fili e verifiche alla ricerca di falso contatto non funzionano. Le batterie erano già belle scariche e ora sappiamo che, forse, ci rimane 1 sola possibilità di accensione. La batteria del motore è morta da giorni e non tiene più la carica. Ce la teniamo per entrare in porto. D'ora in poi lampade a petrolio, niente luci di via, plotter e strumenti spenti - a parte il punto a mezzogiorno. Ne usciamo a tardo pomeriggio. Di nuovo bolina larga, mure a sinistra con vento da SE che piano piano allarga ad un glorioso traverso, mentre la nostra velocità sale sempre più: sei, sette, otto nodi, falchetta in acqua e temporali a tutto spiano da evitare. Time of Wonder - e ogni schooner in generale - dà il meglio di sé proprio tra la bolina larga e il lasco stretto. Su di nuovo tutta randa e via, con velocità crescente fino a sfiorare gli 8.5 nodi quasi fissi. Sono ricomparse le stelle e i temporali si diradano sempre più.


Vittorio Malingri - Ocean Experience



La mattina dopo ci vede sempre lanciati in rotta. Sole, nuvole da aliseo, onda regolare, uccelli. "In culo all’occhio di Mordor, a Mordor stesso e a tutti gli orchetti... e pure la visita alla tomba di David Jones per il momento è rimandata".
È la migliore giornata da quando siamo partiti. Sorrisoni, soddisfazione, speranza di arrivare. Siamo a 150 miglia dalla costa Nord di Puerto Rico e ci avviciniamo a palla di fucile. Approfitto per salire in testa all’albero di trinchetto. Recupero l’amantiglio - che si scrive con una m sola, me l’ha lasciato detto Giancarlo Basile in un commento ad uno di questi pezzi, grazie; assieme al nome dei famosi pezzi di legno forato che compongono i nostri arridatoi, bigotte, suggerito da Adriano, grazie anche a te. Adesso sì che sono un erudito, quasi, quasi lascio il mare e mi dedico all’insegnamento del gergo marinaro alla Lega Navale.
Recupero l’amantiglio del boma di trinchetta, che vola libero da due giorni e si è arrotolato attorno a qualsiasi cosa, il cui moschettone si è aperto durante una presa di terzaroli a causa dello sbattimento della randa e del suo boma. Faccio una marea di foto alla ciurma sul ponte e alla barca vista dall’alto. Pulizia generale, cibo di qualità, riposo. A sera rientriamo nei groppi, nel sottovento di Puerto Rico. Non abbiamo più la possibilità di accendere il motore. La velocità scende inesorabilmente... e sfuma anche l’arrivo il giorno seguente ad un ora decente.

Roby mi molla il timone verso le 4 del mattino. Faccio lo slalom tra i temporali per un po’, poi il vento rinforza da NW. Entriamo nel Mona Passage, il canale della Mona: di nome e di fatto! Valentina e Mila mi aspettano già da quattro giorni e voglio arrivare. Volo di bolina larga con tutta la tela a riva. Falchetta in acqua, o meglio sott’acqua, piove ininterrottamente da cinque ore. La barca vola e si guadagna tutto il mio rispetto. Non mi sono sbagliato. Ho una barca come le auto che piacciono a me: insospettabili ma maneggevoli e velocissime. Una volta le chiamavano "auto da rapina". Ho una "barca da rapina", due bandiere nere, del vento nelle vele, due amici che si riposano sottocoperta, una donna e una bambina che mi aspettano su una spiaggia tropicale, la pancia piena e una bottiglia di rhum da scolarmi quando saremo davanti a quella spiaggia. Sono felice. Prendiamo due mani, con Andrea che mi rileva. Siamo oramai di veterani del gaff rigged e portiamo a termine la manovra in un lampo sotto un groppo con la barca lanciata. Poi il vento cala, poi usciamo dal sottovento dell’isola. Smette di piovere e riprende un ottimo SE che ci spinge veloci verso Saona, un’isoletta attaccata alla punta SE della Repubblica Dominicana. Nel pomeriggio il vento cala e gira, siamo obbligati a strambare e scompare anche la speranza di arrivare stasera.

Stiamo bene, siamo un equipaggio... un gruppo direbbe qualche sociologo del cazzo del giorno d’oggi. Una ciurma dico io (e lo direbbe anche David Jones, quel vecchio pirata sepolto in fondo al mare).
Non sapete quante volte ho rimpianto di non essere nato nel’800. Non avrei avuto dubbio a scegliere quale parte in cui trarre il massimo dalla abilità velica. La mia!. Un paio di bandiere nere le ho sempre con me e quando qualche mercantile sembra non voglia cedere la rotta, ne invio una a riva. La mia specialità è filare a luci spente nella notte, specialmente adesso che il tricolore in testa d’albero è stato portato via dal vento e dai tonfi sulle onde. Insomma siamo lì che ce la raccontiamo e, come per magia, passo davanti al plotter e scopro che siamo dove dovevamo essere: sulla punta di un bassofondo e costeggiamo Saona.
È il tramonto, i colori sono spettacolari nel gioco di nuvole. Silenzio, sorrisi, odore di fuoco da legna nel buio, salsetta da una radio sgangherata. Costeggiamo a 500 metri da riva e... il vento cala di colpo. È arrivato il momento di giocarci il jolly di quella famosa accensione.
In nostro Westerbeke 53HP ci ride in faccia.


Vittorio Malingri - Ocean Experience
























Ok è inutile sperarci, che torni il vento... e a dire la verità siamo davanti a una delle spiagge più belle della Repubblica Dominicana. Vuoi vedere che tutto ciò non è un caso!. Il vento ci ha portato qui e il vento ci ha detto "basta, fermatevi qui e pensateci un po’ su. Non c’é nessuna fretta di arrivare in mezzo alla gente civile, alla società evoluta. Avvicinatevi alla spiaggia e calate il ferro".
Mettiamo in pratica. Una mezzoretta di sforzi e ci portiamo, a vela nel non vento, su quattro metri di sabbia dove buttiamo il ferro. Mettiamo tutto in ordine ammainiamo e serriamo la maestra. 
Via con una bella pastasciutta, vino rosso e aperitivo nell’attesa. Chiudiamo la serata aprendo e scolando tutta quella bella bottiglia di rhum di Bermuda trovata - anche qui non per caso - in un gavone nascosto e che non abbiamo mai avuto tempo di bere perché imparare ad usare Time of Wonder in mezzo alle burrasche dell’Oceano Atlantico del Nord in inverno non ce ne ha lasciato il tempo.
Ci vuole ben altro per spedire me, la mia ciurma e il mio schooner a rendere omaggio alla bara di quel fottuto pirata di David Jones.

Cptn Hugo Black
(alias Ismael, alias Vittorio Malingri)

...e fu così che, una volta giunti nel mar dei Caraibi, la tranquilla ciurma di pescatori di merluzzo di Time Of  Wonder calò la bandiera a stelle e strisce e issò una bandiera nera con disegnato, alla bell’e meglio, un teschio e due sciabole incrociate.

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